"RIGHT IS RIGHT, LEFT IS WRONG"

lunedì 26 luglio 2010

FERMIAMO IL GOLPE SOCIALISTA
DEL PRESIDENTE

Martin Luther King: "Io ho un sogno"; il cittadino americano: con Obama "abbiamo un incubo"

      Il presidente Obama è coinvolto in un numero elevato di crimini e reati di Stato. La maggioranza democratica al Congresso è a rischio perché gli americani rifiutano il suo programma. Eppure c’è da fare ancora qualcosa: chiedere l’impeachment di Obama, perché egli sta lentamente costruendo — un pezzo doloroso dopo l’altro — una dittatura di stampo socialista. Non siamo ancora a quel punto, ma Obama sta avviando l’America su quel pericoloso percorso. Sta minando il nostro sistema costituzionale di controlli incrociati, sovvertendo le procedure democratiche e lo Stato di diritto, presiedendo un regime corrotto e gangsteristico e dando l’assalto ai pilastri fondamentali del capitalismo tradizionale. Proprio come l’uomo forte di sinistra del Venezuela, Hugo Chavez, Obama è deciso a imporre dall’alto una rivoluzione che polarizzi l’America lungo tre linee: razziale, politica e ideologica. Obama è il presidente più divisivo dai tempi di Richard Nixon. La sua politica stanno balcanizzando il Paese: è ora che se ne vada.
    Egli ha infatti abusato della sua funzione e violato il giuramento di rispettare la Costituzione. La sua revisione del sistema sanitario è stata estorta al Congresso, ma vi si opponeva e continua a opporvisi la maggioranza del popolo: è passata solo ricorrendo a mazzette e a intimidazioni politiche. Il "Louisiana Purchase", il "Cornhusker Kickback", i cinque miliardi di dollari per il Medicaid stanziati apposta per favorire il senatore Bill Nelson nel suo collegio in Florida: così il denaro dei contribuenti è stato usato praticamente come un fondo nero con cui comprare voti incerti.
    Come se non bastasse, la legge è manifestamente incostituzionale. Il governo federale non ha il diritto di costringere ogni cittadino ad acquistare un bene o un servizio: questo diritto non è riconosciuto nella Costituzione e rappresenta una espansione di potere senza precedenti.
    Ma il risvolto più nocivo dell’Obamacare è il finanziamento federale dell’aborto. I pro-life sono ora costretti a vedere le tasse che pagano usate per finanziare piani assicurativi che includono l’assassinio dei bambini non nati. Questo è qualcosa di più di un infanticidio di Stato: esso viola i diritti di coscienza dei cittadini religiosi. I tradizionalisti — evangelicali, cattolici, battisti, musulmani ed ebrei ortodossi — sono resi complici di un abominio che va contro i loro valori religiosi più profondi. All’entrata in vigore della legge (come in Pennsylvania) le conseguenze di questi stanziamenti per l’aborto diventeranno sempre più evidenti e il risultato sarà una guerra civile culturale. Inoltre, i pro-life saranno sempre più resi estranei alla società: in molti, sta già maturando una secessione interiore.
    Obama sta anche muovendo un assalto frontale contro il diritto di proprietà. La fuoriuscita di petrolio della BP è un esempio in materia. La BP è chiaramente responsabile della perdita e del massiccio danno economico e ambientale inflitto al Golfo. Mentre è in corso un processo legale per giudicare le denunce, Obama si è comportato in maniera più simile a quella di un Chavez o di un Vladimir Putin, intimando con un gesto di prepotenza alla BP di istituire un fondo di 20 miliardi di dollari per i risarcimenti, che sarà amministrato da un funzionario nominato da Obama. In altre parole, i beni di una compagnia privata vengono rapinati per finanziare un programma politico. Miliardi di dollari verranno così distribuiti arbitrariamente, come indennizzo per le vittime della fuoriuscita di petrolio, e la maggior parte andrà agli elettori democratici: questo si chiama favoritismo e autoritarismo strisciante.
    Il socialismo multiculturale di Obama, creando un sistema di assistenza sanitaria a controllo statale rigido, nazionalizzando di fatto le grandi banche, il settore finanziario, l’industria automobilistica e i sistemi di prestiti d’onore agli studenti, cerca di strappare l’America dalle sue radici tradizionali. La prossima tappa sarà l’approvazione della legge sulle emissioni di gas “cap-and-trade”, che porterà tutto il settore industriale e manifatturiero sotto il tallone del big government. Lo Stato sta infatti intervenendo in ogni ambito della vita americana, andando ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione: sotto Obama la Costituzione si è trasformata in un inutile mucchietto di carta.
    Per fornirsi delle truppe d’assalto necessarie al suo golpe socialista, Obama chiede una “riforma globale dell’immigrazione”, che garantirebbe l’amnistia a dodici milioni di immigrati illegali su un totale di venti. Questa mossa darebbe palesemente vita a una maggioranza elettorale democratica permanente, che suonerebbe come rintocco funebre per la nostra sovranità nazionale. L’amnistia premia l’illegalità e il comportamento criminale e significa che le nostre già permeabili frontiere meridionali si apriranno a una massiccia invasione di clandestini. Tutto questo si traduce nella morte degli Stati Uniti come nazione: noi non saremo più un Paese, ma la colonia di un impero socialista globale.
    Invece di difendere la propria terra, il Dipartimento di Giustizia di Obama ha fatto causa all’Arizona per la sua legge sull’immigrazione, schierandosi con i criminali invece che con i cittadini americani. Le azioni di Obama profanano il giuramento presidenziale, prestato sulla Costituzione, di proteggere i cittadini degli Stati Uniti dai nemici interni ed esterni.  E, visto che Washington si rifiuta di proteggere i nostri confini, incoraggiando una immigrazione illegale ancora maggiore, la decisione di Obama in questo ambito ha i connotati del tradimento.
    In quanto Presidente, ci si aspetta che Obama rispetti lo Stato di diritto: ma, al contrario, la sua amministrazione ha fatto cadere le accuse di intimidazione elettorale formulate contro membri del Nuovo Partito delle Pantere Nere, malgrado il comportamento incriminato — uomini in abiti militari che brandivano bastoni e minacciavano i bianchi nei pressi dei seggi elettorali — fosse stato filmato e registrato. Un avvocato del Dipartimento della Giustizia coinvolto da vicino nel caso, J. Christian Adams, ha dato le dimissioni in segno di protesta. Adams sostiene che, con Obama, si è di fronte a una nuova politica: per i casi giudiziari che vedono imputate persone di colore e come vittime bianchi non vi è più luogo a procedere, indipendentemente da quanto le vittime alzeranno la voce per ottenere giustizia. Questo è più di un razzismo istituzionalizzato: è l’abrogazione delle leggi per i diritti civili. Il comportamento del Dipartimento di Giustizia è illegale. Esso costituisce una minaccia diretta contro l’integrità della nostra democrazia e contro il carattere inviolabile dei nostri procedimenti elettorali.
    La corruzione nell’Amministrazione è in forte crescita. A Washington non siede più un governo, ma un regime gangsteristico. I “metodi di Chicago” sono diventati i metodi di Washington. Il capo dello staff presidenziale Rahm Emanuel è un politico d’assalto, che agisce in maniera amorale e senza scrupoli: fu lui che andò a cercare Joe Sestak, democratico della Pennsylvania per offrirgli un incarico di alto livello nella speranza di persuaderlo a non sfidare alle primarie il senatore Arlen Specter. Lo stesso Emanuel ha offerto un’altra posizione di governo a Andrew Romanoff per fare la stessa cosa alle primarie per il Senato del Colorado. Ed è stato sempre lui — come è emerso nel corso del processo riguardante l’ex-governatore dell’Illinois Rod Blagojevich — ad agire come intermediario per far “paracadutare” Valerie Jarrett sul seggio senatoriale che era di Obama. La sola questione è: che cosa ha voluto Blagojevich in cambio?
    Questa non è semplicemente la politica delle manovre squallide, stile Chicago: è anche sistematica violazione della legge attraverso la corruzione, il tentativo di interferire e di manipolare le elezioni usando posti stipendiati con il denaro dei contribuenti, con il commercio d’influenze e con l’abuso di potere.
    L’errata percezione diffusa a destra è che Obama sia un altro Jimmy Carter, cioè un progressista incompetente la cui presidenza è destinata ad cadere in briciole sotto i colpi di un fallimento dopo l’altro. È vero, invece, l’esatto opposto: Obama è il più coerente fra i presidenti del nostro tempo, uno che cerca di trasformare l’America in qualcosa che i nostri padri fondatori troverebbero non solo irricevibile, ma addirittura ripugnante. Come tutti i rivoluzionari radicali, Obama non pensa altro che al potere, a mantenerlo e a esercitarlo massimizzandone l’efficacia: questo Stato di nuovi banditi voluto da Obama va assolutamente fermato.
    Se i Repubblicani riconquisteranno il Congresso a novembre, dovrebbero — e probabilmente lo faranno — aprire formali inchieste su questa amministrazione criminale e tormentata da scandali. Darrell Issa, repubblicano della California e autorevole membro della Commissione per la Tutela e le Riforme del Governo, ha promesso di farlo. Obama ha tradito il popolo americano e l’impeachment è l’unica risposta possibile: questo usurpatore va rovesciato.

[L'articolo è stato pubblicato su The WashingtonTimes il 23 luglio 2010]

venerdì 16 luglio 2010

IL BANDO DEI CONSERVATORI
CONTRO MICHAEL SAVAGE




    L’islam radicale ha conseguito una delle sue maggiori vittorie nella sua guerra contro l’Occidente. Ma il suo trionfo non è avvenuto sul campo di battaglia, né dopo che è esplosa una bomba, né dopo che è stato siglato un trattato di pace oppure presi ostaggi: si è tradotto nella resa di uno Stato e di una intera nazione ai neri artigli della “political correctness”.
    Il nuovo governo di coalizione britannico, guidato dal primo ministro conservatore David Cameron, ha deciso di mantenere il bando contro Michael Savage, il popolare ospite di talk-show alla radio. Savage, che vive a San Francisco, vanta più di otto milioni di ascoltatori su circa quattocento stazioni. Il suo è il terzo più gettonato talk-show in America. (In confidenza ho ospitato Savage ed egli mi ha ospitato in diverse occasioni.) Londra ha annunciate che il bando non sarà rimosso finché Savage non ripudi "precedenti dichiarazioni" ritenute "lesive" della sicurezza pubblica.
    Cameron ha mantenuto in vigore la decisione presa dal suo predecessore di sinistra, l’ex premier Gordon Brown, d'inserire Savage nella lista dei personaggi "poco desiderabili", che fà sì che il focoso conservatore possa entrare nel Regno Unito. Questa lista di persone ostili comprende anche noti estremisti islamici (inclusi terroristi di Hamas), neo-nazisti, un vecchio stregone del Ku Klux Klan e alcuni skinhead russi colpevoli di aver ucciso più di dieci immigrati. Secondo funzionari britannici, Savage fa parte della lista per un solo motivo: per incitamento "all’odio" e alla "violenza fra comunità". Per qusto si tratta di una pericolo pubblico che dev’essere tenuto lontano dalle spiagge britanniche.
    Il bando contro Savage rappresenta un assalto frontale contro la libertà di parola. Nel “mondo nuovo”[1] inglese, le parole di un ospite di talk-show sono considerate alla stessa stregua dei bombaroli suicidi e dei gangster: le idee devono essere messe fuorilegge e i crimini di coscienza soppressi.
    Inoltre, non c’è ombra di prova che Savage abbia mai o anche solo una volta incitato all’odio o esortato alla violenza contro chicchessia: le accuse in tal senso sono non solo prive di fondamento ma anche diffamatorie: si tratta di semplici bugie.
    Per anni, l’odio dei gruppi liberal come Media Matters[2] ha cercato di dipingere falsamente Savage e altri conservatori ospiti di trasmissioni radio (inclusa la vostra fedele radio) come virulenti neo-fascisti che sognano un regime di apartheid di destra che prenda a calci donne, minoranze, omosessuali e musulmani. E questa contorta e perversa caricatura propagandata dai sinistri è stata volontariamente “bevuta” dal governo inglese.
    Incapaci di vincere la battaglia delle idee, costoro ricorrono alla denigrazione e alla demonizzazione da quattro soldi. Lo scopo è delegittimare e criminalizzare chi pensa conservatore: oggi tocca a Savage, domani sarà il turno di Glenn Beck o di Sean Hannity di essere inseriti nella lista dei nemici pubblici dello Stato.
    Mettendo di proposito il nome di Savage a fianco di quello di assassini e di criminali, Londra gli ha dipinto un enorme bersaglio sulla schiena: estremisti islamici squilibrati potrebbero essere tentati di assassinarlo, pur di segnare un punto per il jihad. Savage è un uomo braccato: delle fatwa sono state emeses contro di lui: è il Salman Rushdie dei nostri giorni.
    La decisione di Cameron manifesta che la Gran Bretagna si è arresa all’ondata crescente dell’islam radicale. In alcune e-mail governative dell’anno scorso, si rivelava che funzionari britannici, legati all’ufficio di Brown, avevano già deciso di mettere Savage nell’elenco solo per "controbilanciare" l’alto numero di militanti musulmani. Lo scopo non era proteggere la Gran Bretagna, ma piuttosto si trattava di placare la sensibilità della sempre più forte e sempre più esigente comunità islamica del Paese. Savage è stato sacrificato sull’altare del multiculturalismo liberal.
    Per molti membri dell’establishment conservatore, Cameron è un modello per il GOP [Great Old Party, i repubblicani]. Ma è un secchione attraente, che ha trasformato il Partito Conservatore in un partito favorevole al big-government, all’ambientalismo e al progressimo sociale. È un falso "centrista" che attrae donne, abitanti dei sobborghi e minoranze. Rappresenta il laburista light, cioè un “tory” rosso che non ha la maldestra incompetenza di Brown. Cameron vuole iniettare altri miliardi nell’istruzione e nella sanità; sta chiedendo aumenti delle tasse per ridurre l’incredibile deficit inglese; rifiuta anche di prendere posizione contro la massiccia immigrazione illegale e contro la minaccia dell’islam politico.
    «Ancor prima che mi venisse detto che i conservatori inglesi avrebbero mantenuto il bando nei miei confronti, sapevo che questo giorno sarebbe venuto», ha detto Savage in una intervista. «Apparentemente, in Inghilterra non vi è stato nulla più di un cambiamento di manichino nel reparto».
    Savage ha ragione: Cameron è un falso conservatore, un coniglio sinistrorso mascherato da “thatcheriano” modernizzato. Il suo successo politico dovrebbe suonare come un avvertimento per i conservatori americani. Una socialdemocrazia all’europea porta alla creazione di un regime progressista permanente, dove il solo punto di scontro fra i due partiti maggiori non è se lo Stato-balia debba esistere, ma chi è più capace di governarlo. È un segnale pericoloso che molti strateghi repubblicani si stiano facendo araldi del genere di conservatorismo di Cameron.
    Dalla fine della Guerra Fredda, il GOP e il Partito Democratico si sono andati trasformando in una oligarchia statalista basata sulle grandi corporation che si batte per le frontiere aperte e per il libero commercio. Il risultato è stato la graduale dissoluzione dell’America. Le nostre frontiere sono una piaga sanguinante; l’immigrazione incontrollata è sfrenata; la nostra infrastruttura industriale si riduce; le fabbriche e i posti di lavoro sono appaltati all’estero; la classe media e la classe operaia stanno affondando; la spesa pubblica è fuori controllo; il debito pubblico sta esplodendo; e interessi di parte dominano a Washington: l’America tradizionale sta morendo.
    A differenza della maggior parte dei conservatori, Savage non è un globalista: è un nazionalista del tipo “sangue e terra”, che capisce che la salvezza dell’America riposa sul ritorno alle sue profonde radici giudeo-cristiane, allo Stato costituzionale, alla famiglia, alla fede e al patriottismo: non è disposto ad adatatrsi né alla globalizzazione economica, né ai miti del multiculturalismo.
    Ed è questo il vero crimine: sia per la sinistra internazionalista, sia per la destra globalista, le sue vedute tradizionaliste sono fuori moda e fuori del tempo e anche un tantino pericolose. In ultima analisi, ecco perché Cameron ha deciso di confermare il bando. E anche il motivo per cui la maggior parte dei repubblicani e dei conservatori mantiene un silenzio assordante: Savage non è uno dei loro. Ecco perché non alzeranno un ditto in sua difesa: il suo roccioso nazionalismo non è il benvenuto nel GOP di oggi di Newt Gingrich, di Karl Rove e di Rush Limbaugh.
    «[Il fatto] dovrebbe rappresentare una lezione per chiunque pensi che se i repubblicani vinceranno il prossimo novembre vi sarà un cambiamento reale», ha detto Savage. «Proprio come i conservatori inglesi che hanno continuato la politica fallimentare del sinistrorso Gordon Brown, la maggior parte dei repubblicani proseguirà nella stessa politica devastante che il [Presidente] Obama ha avviato».
    Se ciò è vero, allora il Partito Repubblicano merita di finire nella spazzatura della storia. Il GOP dovrebbe insistere affinché il Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton faccia pressione su Londra perché revochi il bando. La libertà di parola e quella di espressione sono le pietre angolari della civiltà occidentale. Se non saranno difese, morranno di una morte lenta, altra vittima dell’inarrestabile marcia di conquista islamista.
[1] Brave new world è il titolo originale del romanzo di Aldous Leonard Huxley (1894-1963) Un mondo nuovo (trad. it., Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo, traduzione di Lorenzo Gigli, Mondadori, Milano 1991), che immagina l’Inghilterra del futuro sotto un regime tecnocratico, totalitario e poliziesco (ndr).
[2] Media matters è un sito web progressista che monitora i media americani (ndr). 
[L'articolo è stato pubblicato su The Washington Times del 15 luglio 2010]

sabato 10 luglio 2010

PERCHE' OBAMA E' CULTURALMENTE
UN MUSULMANO






Il presidente Obama sta tradendo gli ebrei. Da un punto di vista culturale è un musulmano che, nella lotta per la vita o per la morte contro Israele, parteggia per il mondo islamico. A meno che gli ebrei americani non si sveglino e assumano una posizione franca contro la politica filoaraba e antiisraeliana di Obama, lo Stato ebraico si di fronte alla possibilità di una guerra nucleare e persino di un possibile annientamento.
    Obama si è incontrato in settimana col Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. L'obiettivo: riparare le crepe diplomatiche tra Washington e Gerusalemme. «Il legame tra gli Stati Uniti e Israele è inscindibile», ha detto Obama. «Riguarda i nostri interessi di sicurezza nazionale, i nostri interessi strategici, ma, cosa ancora più importante, il legame fra due democrazie che condividono un insieme di valori comuni e i cui popoli sono cresciuti, col passare del tempo, sempre più stretti l'uno accanto all'altro».
    Non gli credete. Di fronte ai giornalisti, Obama può anche elogiare lo Stato di Israele. Ma, a sipario abbassato, sta vendendo gli ebrei “giù al fiume”, cioè a mani basse. Secondo una notizia recente riferita da World Tribune, un importante sito web di intelligence, funzionari governativi hanno assicurato alla famiglia reale saudita che Obama intende far pressioni su Netanyahu perché accetti uno Stato palestinese, che comprenda la Cisgiordania e Gaza, con Gerusalemme Est come capitale.

    Obama, come molti nel mondo arabo, crede che la chiave perla pace in Medio Oriente stia nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Ma non è così. Piuttosto, una Palestina indipendente sarà come un picchetto islamico conficcato nel cuore dello Stato ebraico.

    Il ritiro di Israele entro i confini precedenti al 1967 renderà Gerusalemme del tutto vulnerabile a un assalto militare. Gli arabi avranno i mezzi strategici per realizzare la loro ambizione di sempre dalla creazione Israele nel 1948: spazzare via gli Ebrei.
    Il regime democraticamente eletto di Hamas, che governa sulla Striscia di Gaza, invoca apertamente la distruzione degli ebrei. L'Autorità Palestinese nella Cisgiordania guidata dal presidente Mahmoud Abbas indottrina sistematicamente i palestinesi sul «malvagio Stato sionista».

    La televisione, le scuole e i media controllati dallo Stato, tutti predicano che Israele è uno Stato intrinsecamente «illegittimo», che dev'essere «eliminato». La stragrande maggioranza dei palestinesi (e degli arabi) non vuole la pace: vuole la conquista.

    Lidea di due Stati in cui ebrei e palestinesi vivano fianco a fianco in coesistenza pacifica è un'illusione. Se i palestinesi abbandonassero le loro armi, sarebbe la pace. Se fossero gli israeliani ad abbandonare le loro, sarebbe il genocidio.

    La causa alla radice della violenza in Medio-Oriente non ha nulla a che vedere con il conflitto israelo-palestinese. Esso serve solo a distrarre l'attenzione, è una comoda scusa usata in maniera coerente dai despoti arabi per nascondere il vero morbo che affligge la regione: l’Islam radicale.

    Fin dai suoi esordi, la civiltà islamica è stata in guerra coi suoi vicini. La fede musulmana si è diffusa attraverso i secoli con la spada e il jihad violento, la guerra santa. Per questo durante il Medioevo cristiani ed ebrei sono stati trucidati ed espulsi dalle terre arabe. Per questo i turchi ottomani hanno invaso e conquistato la Spagna, il Portogallo, i Balcani e parte della Francia e dell’Italia, arrivando fino alle porte di Vienna.

    Per questo, al giorno d’oggi, i sauditi continuano a spendere miliardi di dollari per finanziare madrasse estremiste in tutto il mondo. Per questo gl’islamo-fascisti, come i talebani e Al Qaeda, sono alla ricerca di un califfato mondiale basato sulla legge della sharia. Per questo i mullah sciiti rivoluzionari dell’Iran sono in marcia verso il possesso della bomba atomica.

    L’islam politico è stato in guerra contro l’Occidente fin da principio, dapprima contro la cristianità e, ora, contro la sua variante secolarizzata moderna, la democrazia liberale. Non c’è via di scampo né per Israele, né per l’America. Gli islamisti disprezzano lo Stato ebraico, perché è il baluardo strategico dell’Occidente in Medio-Oriente. Un avamposto democratico in una regione caratterizzata da arretratezza economica, autoritarismo e da fanatismo religioso. Gli Stati Uniti sono il bastione del mondo libero e l’ultima grande potenza dell’Occidente. Ecco perché, per gli islamici radicali, queste due nazioni devono essere annientate. È una battaglia all’ultimo sangue e solo una delle due fazioni potrà ergersi vittoriosa.

    Malgrado tutte le sue manchevolezze (ed erano un bel po’), l’ex-presidente George W. Bush aveva compreso questa verità fondamentale. Ecco perché decise di combattere la guerra contro il terrorismo islamico ed è stato il leader più filo-israeliano nella storia degli Stati Uniti. Aveva capito una semplice verità: la lotta d’Israele è la dell’Occidente.
    Obama è l’anti-Bush. È virulentemente anti israeliano e paladino dell’appeasement nei confronti dell’islam radicale. La ragione di ciò sta nel background e nella visione del mondo obamiane, che lo rendono la persona meno adatta a continuare la guerra contro il terrorismo.
    In gioventù, Obama è stato allevato ed educato come un musulmano. Suo padre e il suo patrigno erano musulmani. Quando Obama frequentava una scuola cattolica in Indonesia era registrato come cittadino indonesiano e “musulmano”. Nelle scuole pubbliche era identificato come praticante l’islam. Con il nome di “Barry Soetoro” era obbligato a prendere lezioni di dottrina islamica quotidiane, a recitare preghiere, a studiare il Corano e a imparare l’arabo. I suoi vecchi compagni di classe e insegnanti lo ricordano come un musulmano devoto.

    Per esempio, Rony Amir, un amico di infanzia del giovane "Barry", ha descritto Obama come «un tempo del tutto devoto all’Islam». «All’epoca, lo invitavamo spesso nella camera di preghiera attigua alla casa», ha detto Amir. «Quando vestiva il sarong [un indumento che si indossa attorno alla vita in occasioni particolari o per cerimonie religiose] sembrava davvero buffo».

    E la simpatia di Obama per la cultura islamica non si limita agli anni della giovinezza. In un’intervista al New York Times, Obama descriveva l’appello musulmano alla preghiera come «uno dei suoni più belli che si possono ascoltare al tramonto sulla Terra». Il Times notava anche Obama recitava i primi versi dell’appello musulmano alla preghiera «con un accento [arabo] ineccepibile». Questi alcuni dei primi versi:

«Allah è il Supremo!
Allah è il Supremo!
Allah è il Supremo!
Allah è il Supremo!
Testimonio che non c’è altro dio se non Allah
Testimonio che non c’è altro dio se non Allah
Testimonio che Maometto è il suo profeta…».

    Obama sostiene di essere un cristiano praticante. Eppure, non si può negare che il suo retaggio musulmano e il suo background islamico influenzino i suoi pensieri e le sue azioni. Culturalmente, è il primo Presidente musulmano d’America. Si rifiuta di ammettere che c’è una guerra contro il terrorismo islamistico; il suo consigliere per le attività di antiterrorismo, John Brennan, nega addirittura che il jihad è un motore per l’estremismo musulmano; in pubblico critica aspramente Israele perché costruisce alloggi per ebrei a Gerusalemme Est; poi invita all’“impegno” e al “dialogo” con l’Iran; cerca un riavvicinamento con la Siria, facendo finta di non vedere i suoi rapporti con Teheran e con Hezbollah; sta spingendo le truppe statunitensi fuori dall’Iraq prima del tempo e imponendo regole d’ingaggio talmente paralizzanti, che la vittoria in Afghanistan è pressoché impossibile, e questo per paura che dei civili vengano uccisi e di “far infuriare” i musulmani; chiede che Gitmo [Guantanamo] sia chiusa e vuole che terroristi come Khalid Sheikh Mohammed, la mente dell’11 settembre, siano processati da tribunali civili; ha ordinato che la missione “prioritaria” della NASA non sia l’esplorazione dello spazio, ma l’estensione al mondo islamico; infine abbraccia in maniera adamantina la causa dello Stato palestinese, sebbene ciò comporti un rischio mortale per Israele.

    In breve, Obama cerca di coccolare il mondo islamico: il risultato è che l’Iran è a un passo dal procurarsi la bomba: il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad – come tutti I fanatici – fa sul serio. Ha giurato di ammazzare tutti gli ebrei d’Israele una volta per tutte.    
    Obama non ha la stoffa del grandioso pacificatore. Piuttosto è un ingenuo, sciocco sinistrorso che, accecato dai suoi paraocchi ideologici, fa esattamente il gioco che da lui si aspettano i nemici dell’America dalle mani insanguinate.



['articolo è stato pubblicato su The Washington Times l'8 luglio 2010].

mercoledì 7 luglio 2010

CHI HA PERSO IN AFGHANISTAN?

L’America sta per incappare in una colossale disfatta in Afghanistan. Salvo un drastico mutamento di politica e di leadership, gli Stati Uniti patiranno il più catastrofico insuccesso militare della loro storia, che segnerà la fine dell’era americana e la perdita del loro status di superpotenza agli occhi del mondo.
    Il presidente Obama ha correttamente esonerato il generale Stanley A. McChrystal dal comando in capo in Afghanistan. Nessun ufficiale, per quanto capace o alto in grado, deve permettersi di mancare pubblicamente di rispetto al suo capo civile, specialmente se si tratta del comandante in capo e del vice-presidente. Si tratta di un comportamento che demoralizza le truppe sul campo e veicola confusione fra il settore civile e quello militare dello Stato.
    Il generale McChrystal ha dimostrato ben poco giudizio nel permettere a un reporter della rivista Rolling Stone di ottenere un accesso pressoché illimitato al la sua cerchia di collaboratori più interna. Ha permesso ai suoi aiutanti di spalancare la bocca davanti a un cronista anti-militarista di una rivista che fa parte della controcultura pacifista. Avrebbe dovuto sapere che così preparava un fiasco in ambito di pubbliche relazioni e uno scontro con la squadra incaricata della sicurezza nazionale di Obama.
    Il vice-presidente Joseph R. Biden Jr. è stato schernito e l’ambasciatore americano in Afghanistan Karl W. Eikenberry deriso come un opportunista pronto ad accoltellarti alla schiena, mentre l’inviato speciale Usa nella zona, Richard Holbrooke, è stato definito un incompetente e il consigliere per la Sicurezza Nazionale James L. Jones chiamato "pagliaccio". Gli aiutanti di campo più vicini al generale McChrystal hanno rivelato altresì la delusione patita dal generale dopo i suoi primi incontri con Obama. Il primo della serie è stato solo l’occasione — dieci minuti in tutto — per prendere fotografie; si dice poi che il generale abbia esternato che il presidente, in un altro meeting di fronte agli alte sfere militari, era apparso "disimpegnato", nonché "imbarazzato e intimidito".
    Questo può essere ben vero: ma aver detto tutto ciò in pubblico ha messo il generale McChrystal in una posizione insostenibile ma inevitabile: le norme dell’etica militare impongono infatti che nessuno possa apertamente criticare i propri superiori, anche se questi si rendono ridicoli.
    Ma le dimissioni forzate del generale McChrystal rivelano il fallimento radicale della leadership bellica di Obama. Il generale McChrystal aveva votato per lui: era il successore designato dal presidente per guidare la campagna militare in Afghanistan; insieme a Obama il generale McChrystal aveva formulato e sottoscritto la strategia di controguerriglia che è ora in atto e aveva concordato sulle severe regole d’ingaggio, che impediscono ai nostri soldati di combattere efficacemente contro i talebani per paura di colpire i civili.
    In breve il generale McChrystal era l’uomo del presidente: il guerriero liberal desideroso di attuare il processo di nation building e di conquistare i cuori e le menti della popolazione afghana. Egli aveva il compito di tradurre in pratica il modo di far la guerra postmoderno di Obama, cioè di trasformare le truppe americane in un corpo armato di pace: i soldati statunitensi non hanno cioè il compito di uccidere i terroristi e di bombardare i loro “santuari”, ma, invece, d'impegnarsi a costruire strade, canali e impianti idrici, dando una mano con progetti di sviluppo economico e fraternizzando con i locali. Uno stile che si potrebbe chiamare "guerra attraverso i lavori socialmente utili".
    Nel frattempo, la battaglia-chiave per la conquista di Marjah rimane aperta e la maggior offensiva della guerra, quella finalizzata alla presa della roccaforte talebana di Kandahar, è stata (di nuovo) posposta. Le perdite degli Stati Uniti e della Nato sono in forte crescita. Il presidente afghano Hamid Karzai non crede più che le forze statunitensi abbiano la volontà e la potenza sufficienti per vedere la fine della guerra: Karzai ha perso fiducia nell’America. Sta cercando di interrompere le trattative per la condivisione del potere con le fazioni talebane. Il potere e il prestigio degli Stati Uniti sono in declino non solo in Afghanistan, ma in tutta la regione. La frustrazione del generale McChrystal è un sintomo di grossolana incompetenza: la sua, ma, cosa ancor più importante, anche quella del presidente Obama e del suo team, i quali sono incapaci di vincere la guerra.
    La nomina del generale David H. Petraeus al posto del precedente delegato al comando supremo in Afghanistan è un atto disperato. È l’ultima spiaggia di Obama, una scommessa disperata per salvare lo sforzo bellico cambiando l’uomo che ha invertito l’onda di sconfitta in Iraq. Ma è un tentativo destinato all’insuccesso. Obama sta cambiando le poltrone di coperta sul Titanic: ma, fregandosene di quello che fa il capitano, gli iceberg jihadisti stanno per affondare la nave da battaglia americana.
    L’Afghanistan non è l’Iraq: è il "cimitero degl’imperi", una nazione dall’aspro terreno e pieno di svariati signori della guerra e di tribù, ideale per la guerra di guerriglia. La famosa Armata Rossa sovietica vi è stata schiacciata negli anni 1980. L'Inghilterra imperiale vi fu sconfitta, non una sola volta ma due, durante il XIX secolo. E la ragione è che entrambe furono attirate in una lunga guerra di logoramento: alla fine, le montagne selvagge e primitive, le caverne e i combattenti afghani sono riusciti a fiaccare forze di molto superiori, dissanguandole lentamente fino a ucciderle.
    L’America sta ripetendo gli errori del passato. Il problema in Afghanistan non è di personale, ma di strategia. È irrilevante che sia il generale McChrystal o il generale Petraeus a condurre la guerra: si tratta di una strategia profondamente viziata in radice, che non dipendende da chi ne è responsabile.
    La decisione di Obama di annunciare l’inizio del ritiro delle truppe per il luglio del 2011 è il sigillo che la guerra non può essere vinta. I talebani stanno solo aspettando che l’America sia fuori dal territorio afghano; le loro forze militari stanno aumentando la portata degli attacchi, perché sanno che uccidendo un numero sempre più alto di soldati americani accelereranno il ritiro. Inoltre, il popolo afghano non ha incentivi a cooperare con le forze americane e della Nato perché sa che, una volta che l’occidente se ne sarà andato, saranno lasciati nelle peste. I talebani e al Qaeda non se ne andranno, ma gli Yankee sì: e la ricompensa islamista per la collaborazione con gl’infedeli sarà rapida, brutale e senza misericordia.
    Ancora, la decisione di non dispiegare massicciamente forze aeree e truppe di terra americane nel vicino Pakistan, specialmente nelle aree dove la frontiera è porosa, cioè nelle province lungo il confine nord-occidentale, ha garantito ai talebani un rifugio sicuro dal quale lanciare una prolungata campagna di guerriglia contro gli occidentali. Finché gl’insorti islamisti nonsaranno scacciati dal Pakistan, il conflitto in Afghanistan si protrarrà insensibilmente, senza scopo, tragicamente.
    Il vicepresidente Biden ha annunciato che "molte truppe" "lasceranno" l’Afghanistan nell’estate del 2011. L’Amministration ha già, in sostanza, sventolato la bandiera bianca della resa. Gli Stati Uniti lasceranno l’Afghanistan da sconfitti, umiliati sulla scena mondiale come una "tigre di carta", come nazione incapace e che si autocommisera, non in grado di portare il peso della leadership globale. La sconfitta americana in Afghanistan rappresenterà una vittoria storica delle forze del fascismo islamico, perché l’islam radicale avrà messo in ginocchio il gigante americano proprio nel luogo, l’Afghanistan, dove gli attentati dell’11 settembre 2001 sono stati prefigurati e pianificati, e questo equivarrà alla morte del predominio americano.

[L'articolo è stato pubblicato su The Washington Times del 24-6-2010]

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