Gli elettori si preparano a vendicarsi
dello strafare di Obama
dello strafare di Obama
I democratici sono alla vigilia di una sconfitta storica. Due anni giusti or sono, il partito sembrava dar vita a una coalizione di governo del tutto maggioritaria, controllando il Congresso, governatorati-chiave e molti organi legislativi degli Stati. E con l’elezione del 2008 del presidente Obama, i democratici riuscirono a occupare anche la Casa Bianca.
Il Paese si era spostato verso il centro-sinistra. Gli elettori erano disgustati dell’aministrazione Bush, specialmente del malgoverno dei repubblicani, della dura recessione economica e del protrarsi delle guerre in Medio Oriente. Il repubblicanismo di Bush e di Cheney aveva danneggiato il marchio conservatore. I democratici ebbero così un’opportunità d’oro per instaurare sulle macerie repubblicane un duraturo regime liberale pragmatico .
Ma l’hanno sciupata. Invece di concentrarsi sulla ripresa economica, sulla creazione di posti di lavoro e sulla vittoria nella guerra contro il terrorismo, l’amministrazione Obama ha usato la sua imponente maggioranza al Congresso per espandere i poteri dello Stato. Di fatto, se Obama avesse esercitato una leadership responsabile — tagliando la spesa, accorciando il disavanzo, portando avanti politiche di crescita e operando riduzioni di tasse permanenti alla classe media — sarebbe oggi in una condizione assai diversa. L’economia sarebbe in crescita. I sondaggi a suo favore non sarebbero un fiasco totale. E il suo partito non sarebbe di fronte a un’ondata politica ostile che sembra una marea.
Obama è un ideologo radicale: preferisce il socialismo al pragmatismo e vuole rifare l’America invece che rivitalizzarla. Fin dal principio, il suo obiettivo è stato creare una socialdemocrazia basata su interessi corporativi, ovvero un conglomerato di organi pubblici di scala mai vista in America e che ricorda le dittature marxiste. Nei primi venti mesi della sua presidenza è stato ovunque e dappertutto: a ricevere il premio Nobel per la Pace (anche se non ha fatto un bel niente), è apparso a più riprese sulla copertina dei settimanali nazionali e in trasmissioni televisive, beneficiando dell’instancabile adulazione servile da parte dei media istituzionali.
Tuttavia, mentre i media lo incoronavano nuovo imperatore (di sinistra), lo scontento dei suoi sudditi, sottoposti al giogo imperiale dei democratici, cresceva. Obama si è alienato le simpatie della Middle America per un’unica e semplice ragione: la sua politica sta salassando il Paese fino all’ultima goccia e sta “spezzando le reni” alla nazione.
Obama ora è visto, a ragione, come un individuo che ha pericolosamente perso contatto con la realtà, talmente è consunto dal potere, dalla hybris e dall’arroganza da non vedere il disprezzo che gli riservano molti degli americani. Ma questi lo vedono per quello che egli è realmente: un rivoluzionario progressista post-nazionale, che cerca di insediare una nuova classe dirigente liberal: questa è l’essenza della sua presidenza.
Obama ha fatto ingoiare l’Obamacare al Congresso e alla maggioranza del popolo americano, abusando delle procedure legislative, rifiutando di sottoporre all’esame del suo grandioso programma sanitario dalle commissioni congressuali. La sua amministrazione si è impegnata in palesi operazioni di tangenti e di corruzione per far pressione sugli elettori-chiave: lo dimostrano i casi “Louisiana Purchase”, “Cornhusker Kickback”, nonché l’offerta di posti di giudice a fratelli di deputati. Ma, cosa peggiore di tutte, Obama ha mentito: ha promesso che la sanità statalizzata avrebbe abbassato i costi e non incrementato il deficit. Mentre lo smisurato “diritto alla salute” costerà ai contribuenti almeno mille miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, se non molto di più. Imporrà il razionamento delle cure e ne abbasserà la qualità. L’Obamacare non è altro che l'ennesimo costoso piano di allargamento dei diritti che non possiamo permetterci.
Obama ha promesso che la sanità sarebbe stata un fattore della vittoria dei democratici a novembre. Ma si è rifiutato di farne oggetto di campagna elettorale. E questo perché persino lui sa che è un tema profondamente impopolare. Ha chiesto ai suoi amici democratici, molti dei quali non volevano, di sbrigarsi a votare la legge, poi li ha abbandonati a nuotare in acque infestate da squali.
Obama ha aggredito quasi tutti i settori della società: ha nazionalizzato l’industria automobilistica, il settore finanziario e il sistema di prestiti d’onore agli studenti dei college. Il suo regime ha proposto la regolamentazione dell’uso di Internet. I suoi alleati in Congresso vogliono mettere il bavaglio alle radio conservatrici facendo passare la cosiddetta “dottrina della imparzialità”. Ha nominato parecchi “zar” politici con poteri a livello di Gabinetto, aggirando la normale procedura di conferma senatoriale. Il suo Dipartimento della Giustizia sta mettendo sotto inchiesta l’Arizona per aver tentato di proteggere i suoi cittadini dai cartelli della droga messicani e dagl’immigrati clandestini criminali. Ha tagliato i fondi al programma di popolamento dello spazio della NASA, facendo venir meno la posizione di vantaggio strategico che l’America aveva nella corsa allo spazio. I soli tagli di spesa che ha effettuato sono stati la riduzione di 100 miliardi di dollari del budget del Pentagono, indebolendo così la nostra capacità militare.
Ma il suo peggior crimine, l’unico per il quale egli non può e non deve mai essere dimenticato, è aver accumulato un mastodontico deficit pubblico. La sua amministrazione ha fatto approvare a rate un disavanzo di migliaia di miliardi di dollari: ha accresciuto più lui il debito pubblico che non tutti i presidenti prima di lui, da George Washington a Ronald Reagan, messi insieme. È in via di accumulare 10mila miliardi di dollari di debito nei prossimi dieci anni, una cifra incredibile, che nessuno Stato può mai sostenere. In breve, la politica di spesa-indebitamento di Obama sta seppellendo l’America sotto una montagna di inchiostro rosso [con cui si segnano le cifre negative]. La nostra sicurezza finanziaria e nazionale di lungo termine è minacciata.
I risultati sono stati disastrosi: i piani d’incentivo da 800 miliardi di dollari non sono riusciti a ripristinare la crescita, salvo quella del big government; l’inflazione sta salendo; il disavanzo commerciale si sta allargando; il dollaro crolla; la disoccupazione rimane ferma al 10 per cento circa; i capitali d’investimento e di affari sono in fuga; i pignoramenti di abitazioni continuano; la classe media affonda: sta subentrando la disperazione, mentre il Paese è alla deriva e la gente sta perdendo speranza.
Ecco perché i democratici a novembre subiranno una disfatta. Se i numeri dei sondaggi odierni tengono, i repubblicani rivinceranno non solo alla Camera ma forse anche al Senato. E sarà un duro e umiliante ripudio del programma radicalsocialista di Obama, che ha commesso il peccato capitale della politica: ha esagerato. E adesso arriva la resa dei conti.
[L'articolo è stato pubblicato su The Washington Times il 14 ottobre 2010]
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