L’ARIZONA DOVREBBE
FARE SECESSIONE?
[1] Saul David Alinsky (1909-1972), agitatore socialista di origini russo-ebraiche, di Chicago, uno degl’ispiratori culturali di Obama.
[2] Soprannome (“noce americano”, albero dal legno molto duro) di Jackson (1767-1845), settimo presidente degli Stati Uniti.
[L'articolo è statopubblicato su The WashingtronTimes il 29-7-2010]
L’attivismo della magistratura sta spingendo l’America fino al punto di rottura. Questa settimana, un giudice federale ha bloccato articoli essenziali della legge sull’immigrazione emanata dall’Arizona, ponendosi così contro la volontà del popolo. La sentenza è di cattivo auspicio e le sue conseguenze si faranno sentire negli anni a venire.
Il giudice in questione, Susan Bolton, nominata dal presidente Bill Clinton, è una progressista, membro di una élite che si autopresume illuminata, che crede che l’imperialismo giudiziario sia l’asso di bastoni della democrazia. La sua sentenza stabilisce che la polizia locale non può accertare se coloro che vengono arrestati o fermati per aver violato la legge controllare hanno la condizione di immigrato o no. Secondo lei, farlo equivarrebbe a un abuso contro le libertà civili e concederebbe all’Arizona una facoltà spettante al solo federal immigration system. E stabilisce anche che ai residenti non può essere richiesto di esibire prove del loro status legale.
La decisione della Bolton colpisce al cuore la legge dell’Arizona denominata “S. B. 1070”. Voluta dal Dipartimento per la Giustizia del presidente Obama e dalla American Civil Liberties Union, la sentenza pone le premesse per una lunga battaglia legale. Il governatore dell’Arizona signora Jan Brewer assicura che si appellerà con ogni mezzo contro la sentenza, fino ad arrivare alla Corte Suprema, se necessario e che, nel frattempo, il popolo dell’Arizona e dell’America continuerà a resistere all’aggressione dell’immigrazione illegale.
La decisione di Obama di citare in giudizio l’Arizona è un tradimento del patto costituzionale che prevede di rendere sicura una frontiera come la nostra, ormai piena di buchi. La tesi dell’Amministrazione è che la "frontiera non è mai stata così sicura". E punta all’incremento massiccio delle guardie di frontiera e delle risorse dedicate alle tecnologie necessarie per far applicare la legge. Ma la realtà resta: i clandestini continuano ad attraversare tutti i giorni. L’Arizona è la casa di oltre mezzo milione di immigrati illegali. Phoenix è diventata la capitale americana dei rapimenti. I signori della droga messicani commissionano assassini di sceriffi dell’Arizona. Il crimine violento è ormai invasivo. Invece di aiutare la gente bisognosa di protezione, Obama si è messo di fatto dalla parte dei fuorilegge.
Con la legge dell’Arizona Obama sta giocando la carta della politica razziale. Sta deliberatamente soffiando sul fuoco delle tensioni etniche e tal fine dipinge falsamente la legge come un passo tale da portare a uno Stato repressivo di polizia nei confronti gl’ispanici. Ma la legge mette apposta al bando ogni caratterizzazione razziale: al contrario di quanto ha asserito mentendo il presidente, a un ispanico non può essere chiesto di mostrare il documento di residenza quando sta prendendo un gelato con i suoi bambini. Dirlo è un modo di fare discriminazioni razziali e manipolazione della peggiore specie.
L’Amministrazione e i democratici al Congresso stanno facendo il seguente calcolo strategico: pensano che la legge dell’Arizona possa diventare popolare in breve tempo non solo lì ma in tutto il Paese, anche se sono convinti che a lungo andare la legge avrà un ritorno vantaggioso per i repubblicani, specialmente con un blocco elettorale ispanico in netta ascesa. Obama, demonizzando l’Arizona, crede di corteggiare con aggressività il voto dei latino. È il classico radicalismo alla Saul Alinsky [1]: la politica del divide et impera, che mette le razze e le classi una contro l’altra al servizio del potere dello Stato.
La sentenza della Bolton accelera il programma radicale di Obama. La sua sentenza afferma in sostanza che l’America non può proteggere la sua sovranità nazionale. Il che equivale a un invito aperto agl’immigranti clandestini a venire a loro discrezione e con la massima garanzia dell’impunità. L’America, così, non è più un vero Stato nazionale capace di difendere i suoi confini geografici, la sua identità culturale e i suoi interessi nazionali. Al contrario si sta riducendo a una colonia del nuovo ordine modiale, caratterizzato dalla globalizzazione economica, dall’internazionalismo delle grandi corporation, dagli enti sovranazionali e dall’erosione delle frontiere, almeno di quelle degne di questo nome. La classe dirigente liberal vuole sradicare lo Stato-nazione per realizzare la sua utopia globalista e socialista: ecco perché disprezza le leggi federali sull’immigrazione e rifiuta di accettarle.
La sentenza Bolton impedisce anche allo Stato di difendersi: è una forma di disarmo unilaterale del popolo dell’Arizona di fronte a un nemico pericoloso. Il governo federale ha mostrato a più riprese che non è in grado né è disposto a rendere sicure le frontiere. La legge dell’Arizona ha il sostegno della stragrande maggioranza degli arizoniani (70 per cento), come pure degli americani. È l’espressione collettiva della volontà popolare di difendere dai criminali le proprie case, la proprietà e la vita. È un modo per incorporare democraticamente in una legge la garanzia dei diritti derivanti da Dio alla vita, alla libertà e all’autogoverno.
Ma il giudice Bolton e l’amministrazione Obama stanno instaurando una prassi neo-aristocratica, in cui giudici di sinistra, ovvero attivisti elitaristi in abito nero, passano sopra la legittimità democratica. E questo si traduce in una forma di autoritarismo morbido.
In risposta alla controversa sentenza di John Marshall, Chief Justice della Corte Suprema nel 1832, il presidente Andrew Jackson ritenne di dire: «John Marshall ha emesso la sua sentenza, ora vediamo se gli riesce di farla rispettare». La Brewer dovrebbe prendere una pagina del taccuino di Old Hickory [2] e dire: il giudice Bolton ha emesso la sua sentenza, ora vediamo se è capace di farla rispettare.
Il governatore dell’Arizona dovrebbe appoggiarsi allo zoccolo duro dei principi che sanciscono i diritti degli Stati e l’autogoverno democratico e imporre che la legge S. B. 1070 entri in vigore nonostante il divieto federale, cosa che farebbe aprire un confronto costituzionale fra la signora Brewer e Obama, l’Arizona e Washington. Che cosa farebbe allora il Dipartimento alla Giustizia? Porterebbe via in manette la signora Brewer e la getterebbe in prigione? In altri termini, il popolo dell’Arizona dovrebbe impegnarsi in una pacifica forma di disobbedienza civile.
Per troppo tempo, i liberal hanno usato i tribunali per imporre la loro ingegneria sociale radicale a una popolazione recalcitrante: aborto, “matrimonio” fra omosessuali, pornografia, quote razziali, iniziative egualitaristiche, divieto di pregare nella scuola pubblica: tutte questioni che sono state risolte attraverso misure imposte da un corpo giudiziario imperialista schierato contro i desideri della maggioranza. La legge dell’Arizona è la riaffermazione dell’autogoverno democratico contro il Leviatano federale.
L’Arizona è il luogo dove la vecchia repubblica resisterà in piedi oppure crollerà. Si tratta di uno scontro alla Mezzogiorno di fuoco: o l’America torna al suo sistema costituzionale basato sul federalismo autentico, sui diritti degli Stati, sulla libertà individuale e sulla decentralizzazione del potere, oppure continuerà a scivolare verso le tenebre di un Superstato socialista. Washington, con la sua burocrazia straripante, con la sua arroganza imperiale, con la sua dirompente corruzione e con il suo pericoloso distacco dal cittadino comune, è divenuta oggetto di disprezzo e di sfiducia per molti americani, che si traduce in una secessione morale e in una profonda alienazione del popolo dalla classe liberal al potere.
In futuro, molti Stati, compresa l’Arizona, potranno dover decidere di non avere altra scelta se non di distaccarsi dall’Unione. La scelta diventa sempre più chiara: o devolution o dissoluzione.
[1] Saul David Alinsky (1909-1972), agitatore socialista di origini russo-ebraiche, di Chicago, uno degl’ispiratori culturali di Obama.
[2] Soprannome (“noce americano”, albero dal legno molto duro) di Jackson (1767-1845), settimo presidente degli Stati Uniti.
[L'articolo è statopubblicato su The WashingtronTimes il 29-7-2010]
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