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L’America è vicina alla resa nella guerra contro l’islam radicale. È questo il vero senso della decisione di costruire una moschea e un centro culturale islamico di tredici piani a meno di duecento metri da Ground Zero. Una commissione comunale di New York City ha dato il via libera martedì al progetto, nonostante la forte opposizione di molte famiglie delle vittime degli attacchi suicidi dell’11 settembre 2001. La maggior parte dei newyorkesi e degli americani non vuole che la moschea sia eretta: sarebbe un monumento-simbolo del trionfo dell’islamismo negli Stati Uniti.
Ground Zero è qualcosa di più del luogo dov’è crollato il World Trade Center: non è solo dove è stato commesso un enorme crimine, ma piuttosto il luogo di un atto di guerra, un terreno sacro che contiene il sangue di tremila esseri umani, in gran parte americani, assassinati in quel giorno fatale. Come Pearl Harbor, è un santuario nazionale da dedicare alla memoria delle vittime, un eterno memoriale dell’atrocità perpetrata dal fascismo islamico su suolo statunitense.
Gli attacchi dell’11 settembre sono stato commissionati in nome della guerra santa contro l’Occidente da estremisti musulmani che hanno usato il Corano e i principi dell’islam per giustificare le loro azioni. Il loro scopo era di portare il jihad in America, scatenando lo scontro di civiltà. In tutto il mondo gl’islamisti cercano d’imporre un impero mondiale musulmano basato sulla legge della sharia. Ground Zero è dove la Guerra è tornata di casa in America.
Ecco perché costruire questa moschea è un sacrilegio, uno schiaffo intenzionale sul volto delle vittime, delle loro famiglie e di tutti gli americani. Ecco perché gli sponsor di questo progetto rifiutano di fare marcia indietro. Sanno infatti qual è la posta in gioco: la moschea getterà una gigantesca ombra oscura su Ground Zero, fungendo da attestato della conquista islamistica dell’America. Se I’islamismo può imporre la sua volontà nei pressi del luogo dell’11 settembre, allora può imporre il suo volere ovunque.
L’imam che promuove l’iniziativa, Feisal Abdul Rauf, è un militante musulmano incallito, un compagno di strada degl’islamisti, ilquale ha detto pubblicamente che «la politica statunitense è stata complice» degli attacchi dell’11 settembre. In altri termini, secondo lui, gli americani avrebbero attirato quelle atrocità su di loro. È un difensore di Hamas, che giustifica l’omicidio di massa di ebrei (e palestinesi) innocenti. Ha richiesto l’introduzione in America delle corti di giustizia secondo la sharia. In breve, propugna apertamente l’islamizzazione dell’America.
Rauf è il tipico islamista ipocrita che usa la Costituzione americana per domandare il libero esercizio della religione, nel momento stesso in cui reclama la shariah, che confonde chiesa e stato e cerca di asservire i non musulmani. Gl’islamisti stanno usando le nostre libertà nello sforzo di distruggerle.
Inoltre, molti dei cento milioni di dollari per la moschea vengono dall’Arabia Saudita. Riyadh ha sostenuto attivamente la costruzione di madrasse e di moschee nel mondo. Il regime saudita promuove il wahhabismo, una forma particolarmente virulenta di islam. Per esempio, le chiese cristiane e le sinagoghe sono vietate nell’Arabia Saudita e la persecuzione religiosa è furibonda. Ma nessuno, né il sindaco di New York Michael Bloomberg, né il Procuratore generale dello Stato Andrew Cuomo né altri i bigotti liberal sostenitori della moschea di Ground Zero, si è preso la briga d’indagare sulle origini dei fondi di Rauf. Vi sono i wahhabisti ditero la moschea? Se è così, essa diventerà probabilmente un forum di odio e di estremismo, prioprio come la moschea finanziata dai sauditi nel Nord Virginia dove il chierico Anwar al-Awlaki, legato ad al-Qaeda, predicava le virtù del jihadismo.
Invece di farsi carico del problema, i liberal come Bloomberg si ammantano della bandiera della libertà religiosa. «Il luogo del World Trade Center avrà sempre un posto speciale nella nostra città e nei nostri cuori», ha detto il sindaco. «Ma saremmo infedeli alla parte migliore di noi stessi e di chi è newyorchese e americano, se dicessimo di no alla moschea a Lower Manhattan».
Rauf sostiene anche che la sua finalità è eminentemente la tolleranza: per promuovere “mutua comprensione” fra le culture e il dialogo interreligioso. Oltre a ciò, argomentano i sostenitori della moschea di Ground Zero, il centro culturale sarebbe costruito non sul luogo esatto del World Trade Center, ma due isolati più in là. Ma il vero problema è la vicinanza. La moschea di Ground Zero fa infuriare così tanta gente perché l’edificio che l’ospiterebbe è stato danneggiato materialmente dai detriti del crollo delle torri durante l’assalto dell’11 settembre. La sua collocazione è fra le macerie, cade all’interno del campo di battaglia, nell’immediata cerchia in cui gli attacchi si sono verificati. Ecco perché il problema esacerba così gli animi di molte persone ferite.
La libertà religiosa è un diversivo. I musulmani sono liberi di costruire moschee ovunque tranne che a New York o in America. Se Rauf fosse affidabile sul fatto di consolidare la pacifica convivenza delle religioni, potrebbe e dovrebbe scegliere un’altra e più ideale collocazione nella comunità dei residenti. La reazione è stata furibonda e appassionata: il timore e la rabbia tra le famiglie delle vittime sono stati palpabili. Ma i loro sentimenti non sono stati presi in considerazione. Sono stati ignorati e persino ammoniti. Rauf potrebbe porre fine a tutto ciò con un gesto di rispetto e di buona volontà. Ma non lo farà, e questo equivale a parlare meglio di interi volumi, anche se il suo programma ideologico proclama compassione e senso comune. La battaglia sulla moschea di Ground Zero è qualcosa di più di una battaglia della guerra culturale calda. È uno spartiacque: è il punto nel quale il multiculturalismo liberal ha capitolato nei confronti della inarrestabile marcia dell’islam politico. I musulmani radicali in tutto il mondo vedranno giustamente tutto ciò come un trionfo sull’inetto americano infedele. Persino il luogo del più mortale attacco portato contro l’America non è libero dalla incombente presenza dell’slam. Questo avvenimento significa la perdita e la sconfitta della volontà e dell’impegno americani nella lotta contro il jihad.
Non è una coincidenza che il nome della moschea, Cordoba House, sia ripreso dalla città della Spagna meridionale che segnò una delle più grandi conquiste del radicalismo islamico in Europa nel corso del Medioevo. Cordoba è stato il centro principale del califfato mondiale che è incorso di realizzazione da parte degli islamisti che imperversano ai nostri giorni: proprio quel califfato che Osama bin Laden e i suoi alleati cercano di restaurare. Una moschea gigantesca è stata costruita sulle rovine di una chiesa cattolica. Per gl’islamisti, erigere moschee sui territori degli sconfitti è un segno di soggezione, la sottomissione degl’infedeli alla vera legge di Allah.
La triste ironia del caso è che la maggior parte delle vittime del fascismo islamico sono i musulmani stessi, i correligionari, massacrati da barbari medievali. La moschea di Ground Zero li disonora nella stessa misura che disonora ogni altra persona. Bloomberg avrebbe fatto la cosa giusta se si fosse opposto alla costruzione della moschea. Ma il suo comportamento mostra che il progressismo è privo di difese al cospetto del suprematismo islamico così come accade in tutta Europa. Gli Stati Uniti di Arabia sono arrivati.
[L'articolo è stato pubblicato in The Washington Times del 5 agosto 2010]