DI SCARSA CLASSE
Il presidente Obama ha ancora una volta svilito il suo ufficio di presidente. Oggetto di aspre critiche per l’inettitudine con la quale sta trattando il problema del pozzo petrolifero BP in avaria, Obama ricorre all’arma della volgarità, sperando così di apparire “tosto” al pubblico americano.
In una recente intervista al Today Show della NBC, Obama ha risposto alle critiche secondo le quali la sua azione contro la perdita di petrolio avrebbe dovuto essere più impegnata ed energica, dicendo: «Sono stato laggiù un mese fa, prima che la maggior parte degli attuali chiacchieroni si fosse nemmeno accorta del Golfo (del Messico); e non me ne sto seduto a far niente: se parlo solo con gli esperti è perché mi trovo in un seminario accademico: questi signori teoricamente hanno le risposte migliori, quelle che mi indicano chi devo prendere a calci nel culo».
È davvero così? Obama dovrebbe vergognarsi. I presidenti americani storicamente hanno spesso usato un linguaggio pepato, perfino un linguaggio blasfemo in discussioni private: Andrew Jackson, Harry Truman e Richard Nixon sono i più indiziati. Ma nelle dichiarazioni pubbliche, essi comprendevano che bisognava esprimere la dignità e il decoro dell’Oval Office. Tutti i presidenti hanno fatto così: fino a Obama.
La presidenza non è solo la carica più alta della nostra terra: essa contiene ed esprime altresì la volontà collettiva della democrazia americana. Obama occupa una posizione sacra e nobile, che gli è stata affidata dal popolo americano. I suoi commenti rivelano un completo disprezzo per la carica che egli ricopre. Il suo è un linguaggio da bandito di strada, che sta meglio in bocca a un attivista comunitario della parte sud di Chicago che non in bocca al leader del mondo libero. Ma il suo è solo il tentativo di assumere un atteggiamento politico che simuli una leadership di tipo decisionista.
Per settimane, Obama è stato messo sotto il torchio dai suoi alleati di sinistra affinché scatenasse il demagogo che è in lui nell’affrontare il problema del pozzo della BP nel Golfo del Messico. Volevano che mostrasse più empatia, passione e sdegno. Volevano che esprimesse maggiore solidarietà verso i pescatori, i piccoli imprenditori e la vita selvatica della regione. Invece il presidente, di fronte al peggior disastro ambientale nella storia americana, si è mostrato distaccato, disimpegnato e freddo.
Come una barca in avaria, persino molti dei suoi più decisi supporter si sono voltati verso di lui, sorpresi. Maureen Dowd, Chris Matthews, Rachel Maddow, tutti questi personaggi della sinistra stanno accorgendosi con orrore che Obama è un incompetente. Il loro messia politico si sta rivelando un impostore. Invece che guidare l’America verso la terra promessa dei liberal, si sta schiantando contro le rocce della realtà.
La pecca di fondo di Obama è che manca di ogni esperienza operativa. Non è capace di governare perché non ha mai dovuto farlo. Non ha mai gestito una impresa, una città o uno Stato. In effetti egli non ha mai gestito neppure un carretto di limonate. Tutta la sua vita adulta è stata spesa all’interno del mondo della burocrazia: è stato attivista di comunità, professore radicale o politico. È stato parte del segmento non produttivo della società, popolato di quei parassiti che vivono della ricchezza prodotta dal settore privato.
Immerso nel socialismo multiculturale e in un virulento anti-americanismo, Obama disprezza di cuore il suo Paese: il suo sistema di libero mercato, la sua eredità giudeo-cristiana, il suo eccezionalismo storico. Obama è capace di fare una conferenza, di rimproverare e di scusarsi. In altri termini sa parlare ma non sa governare.
Obama può amare dipingersi come il presidente dei calci nel culo, ma il solo culo che viene preso a calci è il suo. Il disastro del Golfo è diventato l’uragano Katrina di Obama, un momento rivelatore in cui rimangono fissati come nel cristallo l’impotenza e la debolezza del presidente di fronte a una vera catastrofe economica ed ecologica. La fanghiglia nera sta lambendo non solo sulle spiagge della Louisiana ma anche la presidenza di Obama, incatramando la sua credibilità e ricoprendo i numeri di coloro che lo approvano. Se non riesce a tappare una perdita di petrolio, come sarà capace di affrontare il dittatore nazista persiano dell’Iran, di tirar fuori l’America dalla sua Grande Recessione o di governare un sesto della sua economia tramite il sistema sanitario nazionalizzato?
Obama ha cercato di politicizzare il caso del petrolio BP fin dall’inizio, deplorando tutti tranne se stesso. Ha chiesto di far fuori il Chief Executive Officer della BP Tony Hayward. Il Segretario agli Interni Ken Salazar si è vantato del fatto che l’amministrazione Obama avrebbe "tenuto il suo piede sul collo" della BP. Obama ha richiesto un’indagine criminale sulla condotta della BP, anche se non c’era prova, neppure un barlume, del fatto che l’esplosione al pozzo Deepwater Horizon fosse stato altro che un incidente. Ha imposto una moratoria sulle trivellazioni petrolifere a grandi profondità nel Golfo, il che ha solo contribuito a danneggiare ulteriormente l’economia locale. Ha cancellato i progetti di trivellazione sulla costa orientale e nel nord dell’Alaska.
Il suo modo di agire farà impennare i costi della produzione nazionale di petrolio, portando alla perdita di migliaia di posti di lavoro in patria e accrescendo la nostra dipendenza dal petrolio straniero, facendo sicuramente sì che un maggior numero di dollari finisca per andare a sostenere “petrolstati” anti-americani e anti-occidentali come l’Arabia Saudita, la Russia e il Venezuela. In breve, Obama ha fatto di tutto tranne che contenere le perdite.
Per ironia della sorte, un problema ambientale, cioè un problema che tocca un’area in cui si presume che la sinistra eccella, sta rivelando chiaramente che Obama è un incompetente. Invece di additare continuamente il proprio predecessore come colpevole, demonizzando i repubblicani e disonorando la sua carica con il turpiloquio, Obama farebbe meglio a elevarsi all’altezza della situazione e a offrire una guida coraggiosa al Paese. Ma il fatto che non vi riesca rivela che la sua consueta roboante retorica è poco più che il pistolotto immaginifico di un adolescente.
[L’articolo è apparso su The Washignton Times il 10-6-2010]
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