"RIGHT IS RIGHT, LEFT IS WRONG"

lunedì 21 giugno 2010

LA CAPITOLAZIONE
DELLA CAPITALE



Il Presidente Obama è diventato una calamità nazionale: i suoi quasi diciotto mesi di presidenza mostrano chiaramente la sua incapacità a ricoprire in maniera efficace la carica di capo del potere esecutivo del Paese. In breve, è un colossale fallimento.

    Si pensi a come ha affrontato la fuoriuscita di petrolio dall’impianto BP. Ha provato maldestramente ad aggiustare alla bell’e meglio la risposta del governo alla più grande catastrofe ambientale nella storia degli Stati Uniti. Non era certo lui il responsabile dell’esplosione avvenuta presso l’impianto di trivellazione Deepwater Horizon, né dei milioni di barili di petrolio grezzo zampillanti dal fondo dell’oceano che hanno devastato le sponde del Golfo del Messico e il loro prezioso ecosistema.
    La sua colpa sta nel non esser stato capace di contenere e ripulire la fuoriuscita. Obama è il presidente degli Stati Uniti. Suo dovere primario è quello di proteggere la nostra sicurezza nazionale, sia dai terroristi assassini, sia dalle tonnellate di liquame nero che decimano mestieri e mezzi di sostentamento dei cittadini della Gulf Coast. Invece di dichiarare lo stato di emergenza, nel “Giorno Uno” della crisi, Obama ha tentennato e la sua intera amministrazione se ne è stata con le mani in mano.
    Il Segretario alla Sicurezza Nazionale Janet Napolitano ha aspettato più di una settimana prima di chiamare la Marina e la Guardia Costiera, perché la Napolitano ha candidamente ammesso di non avere idea che la Marina era in possesso dell’equipaggiamento necessario a far fronte alla falla. Il compito di Obama dovrebbe consistere nel coordinare le varie forze che interagiscono per affrontare la crisi: ci sono invece volute settimane prima che all’ammiraglio Thad Allen della Guardia Costiera fossero finalmente dati i poteri e le responsabilità necessari e fosse individuata una catena di comando. Obama, inizialmente, aveva fatto affidamento sul fatto che la BP sarebbe riuscita a fare una cosa che invece toccava a lui, cioè bloccare la fuoriuscita.
    La sua risposta è stata tardiva e patetica. Sono passate settimane prima che Obama si recasse in visita nel Golfo, quasi che non potesse perdere tempo nell’affrontare una catastrofe ecologica sulle coste americane, impegnato com’è a costruire l’utopia progressista. A un socialista visionario non può piacere il difficile compito del governare: non lo considera alla sua altezza: che ci pensino i lacché della burocrazia.
    Come se non bastasse, Obama ha aumentato l’entità del danno economico nel Golfo. La sua decisione di imporre una moratoria di sei mesi sui permessi per le trivellazioni in acque profonde costerà migliaia di posti di lavoro, farà aumentare i costi dell’energia prodotta in patria e aumenterà il fabbisogno di petrolio estero, specialmente di quello proveniente da "petrolstati" antiamericani come l’Arabia Saudita, la Russia e il Venezuela. Obama non è solo un incompetente, ma uno che fa un sacco di danni. 
    Il governatore repubblicano della Louisiana Bobby Jindal ha giustamente osservato che il governo federale si è rifiutato di intraprendere un’azione decisa per contenere la fuoriuscita ed evitare che il liquame nero raggiungesse la costa: non si è fatto un uso adeguato dei macchinari di aspirazione più sofisticati; si è deciso troppo tardi e a casaccio di alzare quelle lunghe barriere di sabbia che erano invece di vitale importanza; si è pensato di non mobilitare tutti i mezzi a disposizione della Marina e della Guardia Costiera, né si è voluto ricorrere agli efficaci macchinari di contenimento offerti da altri Paesi, come la Norvegia e gli Stati del Golfo Persico, con i quali si era riusciti in passato ad arginare analoghe fuoriuscite di petrolio in acque alte.
    Obama ha piuttosto cercato di sfruttare l’incidente petrolifero della BP per accelerare i tempi di attuazione del suo programma radical-progressista ed espandere i poteri dello Stato-controllore. Egli ha strumentalizzato a fini politici la fuoriuscita di petrolio, applicando la regola di Saul Alinsky, il teorico della nuova sinistra degli anni 1960, sfruttando cioè un incidente per accelerare la distruzione del capitalismo, ovvero: crisi permanente al servizio della rivoluzione permanente.
    Ecco perché, nel discorso teletrasmesso dall’Oval Office martedì scorso, Obama ha rilanciato l’appello per un “New Deal” verde, chiedendo che l’America smetta di fare affidamento sui combustibili fossili e si converta a un’economia fondata sull’“energia pulita”. Obama vuole 160 miliardi di dollari per finanziare una politica che promuova l'“industria verde”, cioè vuole attuare massicci incentivi governativi per stimolare l’uso di energia solare ed eolica.
    Spinge perché il Senato approvi leggi radicalmente innovative del tipo "cap-and-trade", nonché per istituire una tassa nazionale sull’energia e imporre alle imprese di porre un freno alle emissioni di anidride carbonica. Tutto ciò provocherà un aumento dei costi per l’energia — specialmente benzine e gas naturali — che costringerà i cittadini a ridurre drasticamente i consumi. E questo potrebbe mettere a rischio lo standard di vita americano e rappresenterebbe inoltre la maggior estensione del potere statale della storia degli Stati Uniti,perché il governo inquadrerebbe e controllerebbe direttamente l’industria. Obama mira infatti a instaurare uno Stato assistenziale "verde" basato sulla pianificazione centralizzata e sui grandi apparati burocratici.
    Il presidente sta conducendo un assalto frontale contro lo Stato di diritto e i tradizionali diritti di proprietà. La BP dovrebbe pagare l’intero costo dei danni della falla e delle operazioni di ripulitura, dal momento che il guaio l’ha fatto lei. La BP è anche responsabile delle profonde conseguenze economiche per la regione: la perdita del lavoro e dei mezzi di sostentamento di coloro che vivono di pesca, lo sconquasso nell’industria del turismo e il disastro delle comunità colpite. Il colosso petrolifero è pienamente responsabile e dovrebbe pagare fino all’ultimo spicciolo.
    Ma ottenere questo è compito dei tribunali: il processo giudiziario esiste proprio per questo. Obama, invece, sta procedendo in maniera illegale e inaudita: vuole costringere la BP a stanziare venti miliardi di dollari su un conto-deposito, che sarebbe amministrato da un funzionario nominato da lui e dovrebbe risarcire le vittime della fuoriuscita. La BP ha accettato di costituire questo fondo, spinta dall’enorme pressione politica: in altre parole il colosso petrolifero ha capitolato dinanzi alla prepotenza furfantesca dell’amministrazione.
    Un comportamento del genere sarebbe più degno di un Vladimir Putin o di un Hugo Chavez che non di un presidente americano. Obama sta in sostanza conducendo un’operazione di razzia di beni privati di una società commerciale, perché un suo compare asservito a un’agenda politica possa elargire pagamenti, facendolo sembrare un leader in carica. La BP e i suoi azionisti devono essere sacrificati sull’altare dell’immagine delle pubbliche relazioni di Obama. Ma questa non è leadership: è totalitarismo strisciante.
    Nessuna delle iniziative di Obama — il conto-deposito di venti miliardi di dollari, il divieto di trivellazione, la diffamazione di BP, il cap-and-tax sulle emissioni di gas, l’appello donchisciottesco all’uso di mulini a vento e di automobili a energia solare — farà la sola cosa necessaria e che gli era stata chiesta: turare la falla. In altre parole, Obama non è capace di risolvere il problema che ha per le mani, oppure non ha alcuna intenzione di farlo.
    Nel suo discorso del martedì sera, Obama ha praticamente ammesso di non sapere con precisione che cosa deve fare per risolvere nell’immediato il disastro dovuto alla falla petrolifera. Ha invitato, comunque, gli americani ad auspicare un non meglio precisato futuro che vedrà l’inverarsi di un’utopia verde. «Anche se non possiamo esattamente a che cosa assomiglierà — ha detto —, anche se non sappiamo precisamente come ci arriveremo: sappiamo solo che ci arriveremo».
    Agli americani non interessano soporifere lezioni sull’energia pulita, quando le loro coste sono devastate, la loro patria è sotto attacco,i suoi cittadini vivono una situazione disperata. Il presidente ha completamente mancato di raccogliere la sfida, perché è fuori della sua portata.

[L'articolo è stato pubblicato su The Washington Times il 17-6-2010].

lunedì 14 giugno 2010

UNA PRESIDENZA
DI SCARSA CLASSE


Il presidente Obama ha ancora una volta svilito il suo ufficio di presidente. Oggetto di aspre critiche per l’inettitudine con la quale sta trattando il problema del pozzo petrolifero BP in avaria, Obama ricorre all’arma della volgarità, sperando così di apparire “tosto” al pubblico americano.
    In una recente intervista al Today Show della NBC, Obama ha risposto alle critiche secondo le quali la sua azione contro la perdita di petrolio avrebbe dovuto essere più impegnata ed energica, dicendo: «Sono stato laggiù un mese fa, prima che la maggior parte degli attuali chiacchieroni si fosse nemmeno accorta del Golfo (del Messico); e non me ne sto seduto a far niente: se parlo solo con gli esperti è perché mi trovo in un seminario accademico: questi signori teoricamente hanno le risposte migliori, quelle che mi indicano chi devo prendere a calci nel culo».
    È davvero così? Obama dovrebbe vergognarsi. I presidenti americani storicamente hanno spesso usato un linguaggio pepato, perfino un linguaggio blasfemo in discussioni private: Andrew Jackson, Harry Truman e Richard Nixon sono i più indiziati. Ma nelle dichiarazioni pubbliche, essi comprendevano che bisognava esprimere la dignità e il decoro dell’Oval Office. Tutti i presidenti hanno fatto così: fino a Obama.
    La presidenza non è solo la carica più alta della nostra terra: essa contiene ed esprime altresì la volontà collettiva della democrazia americana. Obama occupa una posizione sacra e nobile, che gli è stata affidata dal popolo americano. I suoi commenti rivelano un completo disprezzo per la carica che egli ricopre. Il suo è un linguaggio da bandito di strada, che sta meglio in bocca a un attivista comunitario della parte sud di Chicago che non in bocca al leader del mondo libero. Ma il suo è solo il tentativo di assumere un atteggiamento politico che simuli una leadership di tipo decisionista.
    Per settimane, Obama è stato messo sotto il torchio dai suoi alleati di sinistra affinché scatenasse il demagogo che è in lui nell’affrontare il problema del pozzo della BP nel Golfo del Messico. Volevano che mostrasse più empatia, passione e sdegno. Volevano che esprimesse maggiore solidarietà verso i pescatori, i piccoli imprenditori e la vita selvatica della regione. Invece il presidente, di fronte al peggior disastro ambientale nella storia americana, si è mostrato distaccato, disimpegnato e freddo.
    Come una barca in avaria, persino molti dei suoi più decisi supporter si sono voltati verso di lui, sorpresi. Maureen Dowd, Chris Matthews, Rachel Maddow, tutti questi personaggi della sinistra stanno accorgendosi con orrore che Obama è un incompetente. Il loro messia politico si sta rivelando un impostore. Invece che guidare l’America verso la terra promessa dei liberal, si sta schiantando contro le rocce della realtà.
    La pecca di fondo di Obama è che manca di ogni esperienza operativa. Non è capace di governare perché non ha mai dovuto farlo. Non ha mai gestito una impresa, una città o uno Stato. In effetti egli non ha mai gestito neppure un carretto di limonate. Tutta la sua vita adulta è stata spesa all’interno del mondo della burocrazia: è stato attivista di comunità, professore radicale o politico. È stato parte del segmento non produttivo della società, popolato di quei parassiti che vivono della ricchezza prodotta dal settore privato.
    Immerso nel socialismo multiculturale e in un virulento anti-americanismo, Obama disprezza di cuore il suo Paese: il suo sistema di libero mercato, la sua eredità giudeo-cristiana, il suo eccezionalismo storico. Obama è capace di fare una conferenza, di rimproverare e di scusarsi. In altri termini sa parlare ma non sa governare.
    Obama può amare dipingersi come il presidente dei calci nel culo, ma il solo culo che viene preso a calci è il suo. Il disastro del Golfo è diventato l’uragano Katrina di Obama, un momento rivelatore in cui rimangono fissati come nel cristallo l’impotenza e la debolezza del presidente di fronte a una vera catastrofe economica ed ecologica. La fanghiglia nera sta lambendo non solo sulle spiagge della Louisiana ma anche la presidenza di Obama, incatramando la sua credibilità e ricoprendo i numeri di coloro che lo approvano. Se non riesce a tappare una perdita di petrolio, come sarà capace di affrontare il dittatore nazista persiano dell’Iran, di tirar fuori l’America dalla sua Grande Recessione o di governare un sesto della sua economia tramite il sistema sanitario nazionalizzato?
    Obama ha cercato di politicizzare il caso del petrolio BP fin dall’inizio, deplorando tutti tranne se stesso. Ha chiesto di far fuori il Chief Executive Officer della BP Tony Hayward. Il Segretario agli Interni Ken Salazar si è vantato del fatto che l’amministrazione Obama avrebbe "tenuto il suo piede sul collo" della BP. Obama ha richiesto un’indagine criminale sulla condotta della BP, anche se non c’era prova, neppure un barlume, del fatto che l’esplosione al pozzo Deepwater Horizon fosse stato altro che un incidente. Ha imposto una moratoria sulle trivellazioni petrolifere a grandi profondità nel Golfo, il che ha solo contribuito a danneggiare ulteriormente l’economia locale. Ha cancellato i progetti di trivellazione sulla costa orientale e nel nord dell’Alaska.
    Il suo modo di agire farà impennare i costi della produzione nazionale di petrolio, portando alla perdita di migliaia di posti di lavoro in patria e accrescendo la nostra dipendenza dal petrolio straniero, facendo sicuramente sì che un maggior numero di dollari finisca per andare a sostenere “petrolstati” anti-americani e anti-occidentali come l’Arabia Saudita, la Russia e il Venezuela. In breve, Obama ha fatto di tutto tranne che contenere le perdite.
    Per ironia della sorte, un problema ambientale, cioè un problema che tocca un’area in cui si presume che la sinistra eccella, sta rivelando chiaramente che Obama è un incompetente. Invece di additare continuamente il proprio predecessore come colpevole, demonizzando i repubblicani e disonorando la sua carica con il turpiloquio, Obama farebbe meglio a elevarsi all’altezza della situazione e a offrire una guida coraggiosa al Paese. Ma il fatto che non vi riesca rivela che la sua consueta roboante retorica è poco più che il pistolotto immaginifico di un adolescente.

[L’articolo è apparso su The Washignton Times il 10-6-2010]

domenica 6 giugno 2010

LA GUERRA DI HOLLYWOOD
CONTRO IL CRISTIANESIMO



Ancora una volta, il fanatismo anticristiano sta alzando pericolosamente la cresta. L’emittente televisiva Comedy Central — del gruppo di cui fa parte anche MTV — sta preparando una nuova serie di cartoni animati chiamata JC. La trama prevede che Gesù Cristo, allontanatosi dal padre solitario e noioso, vada a New York e incorra in avventure nella Grande Mela. Cristo verrà descritto come un furbacchione di città cinico e senza radici, esposto alle tentazioni e alle bizzarrie della vita urbana moderna. Avrà a che fare con prostitute e spacciatori. Lo si vedrà fare uso di marijuana e avere rapporti omosessuali. Massacrerà malviventi in scontri di strada, usando preferibilmente un machete. Cristo sembrerà Pulp fiction, seppure in cartone animato.
    Hollywood chiama tutto questo “intrattenimento”, ma si tratta invece di faziosità anti-religiosa, cui i cristiani — e la gente di tutte le fedi — dovrebbero esigere che si ponga fine. South park è un tentativo deliberato di schernire e d’insudiciare l’essenza del cristianesimo: la natura divina di Cristo. Il suo scopo è di degradare Gesù a una figura di oggi, impazzita di sesso, dall'agire permissivo e violento. Non è solo blasfemo, ma è anche moralmente ripugnante e culturalmente perverso. Svilisce e distorce completamente Cristo solo per qualche risata a buon mercato.
    Non è la prima volta che Comedy Central dipinge Cristo in maniera malefica e deforme. Lo show South Park ha ripetutamente mostrato Cristo nel più abietto dei modi: mentre guarda come un deficiente materiale pornografico in Internet; mentre si ferisce al collo in modo che il sangue schizzi copioso dappertutto; comportandosi come un guerriero ninja assassino che uccide il Papa lanciandogli un pugnale che lo trancia in due; e defecando sull’ex Presidente George W. Bush e sulla bandiera americana. Contro il cristianesimo, per South Park la stagione di caccia è sempre aperta.
    Tuttavia, quando si tratta d’islam, Comedy Central tace: il profeta Muhammad non è mai stato preso in giro apertamente né messo in ridicolo per sfruttare l’effetto-sorpresa. Di fatto, l’emittente, per paura di offendere i musulmani, si autocensura. Per esempio, nell’episodio n. 200 di South Park, i produttori avevano cercato raffigurare Muhammad vestito con una pelle d’orso, ma le proteste dei gruppi per i diritti dei musulmani li hanno costretti a tagliare la scena per loro offensiva.
    Questo è un uso flagrante di due pesi e due misure: l’islam non può essere ridicolizzato o attaccato, ma il cristianesimo sì, spesso e volentieri. Gli ipocriti di Hollywood capiscono bene che Muhammad è off-limits per un solo motivo: per la paura di una fatwa, il decreto religioso islamico che autorizza l’assassinio di chiunque diffami l’immagine del profeta musulmano. I liberal di Hollywood sono dei codardi, che si accaniscono su Gesù perché sanno che i cristiani non reagiranno. Troppo spesso li vedono infatti guardare inerti mentre il loro Salvatore viene crocifisso culturalmente.
    Le nostre élite progressiste continuano a ripetere, fino alla nausea, che l’islam è una “religione di pace”. Il fatto che vi siano milioni di estremisti islamici che abbraccino il jihad e il terrorismo, usando il Corano come base teologica per la guerra santa contro l’Occidente, per la maggior parte dei liberal laicisti è irrilevante. Il loro dogma, il multiculturalismo, impone loro di negare questa fondamentale realtà. Ma essi, si sa, preferiscono le fantasie ideologiche.
    La vera religione della pace è invece il cristianesimo: non ci sono in giro suore cattoliche che dirottano aerei facendoli schiantare contro edifici. Non ci sono pastori protestanti che si fissano al petto candelotti di dinamite e fanno saltare in aria uomini, donne e bambini musulmani innocenti. Non ci sono vescovi ortodossi che affermano autorevolmente che la Bibbia giustifica il massacro di non cristiani. In breve, il cristianesimo non mira a instaurare un impero mondiale con la spada: l’islam radicale sì.
    Mentre è precisamente la sottolineatura cristiana della non-violenza e della coesistenza religiosa pacifica che Hollywood sta sfruttando. I produttori di Comedy Central sono consapevoli di un fatto fondamentale: potranno deridere Gesù come e quando vogliono, poiché non c’è alcun jihadista cristiano che li farà saltare in aria: è infatti facile e privo di rischi tirare colpi a casaccio — pateticamente — contro Cristo.
    In essenza, il progressismo laicista moderno si basa sull’odio nei confronti del cristianesimo. Per decenni, i liberal militanti hanno tentato di sradicare il nostro retaggio giudeo-cristiano dalla sfera pubblica. Bandendo le preghiere dalle scuole pubbliche, proibendo che nelle Corti di Giustizia venga esposta la Tavola dei Dieci Comandamenti — il reale fondamento della legge e dell’etica in Occidente —, legalizzando l’omicidio di massa tramite aborto di circa cinquanta milioni di bambini americani non nati, cercando di metter fine alle celebrazioni ufficiali del Natale e della Pasqua, facendo pressioni perché il comportamento omosessuale divenga moralmente accettabile e legalizzando il matrimonio fra persone dello stesso sesso: tutto questo è guerra culturale, una guerra in atto contro l’America profonda e sua tradizionale fede cristiana.
    La cristianofobia è la forma di fanatismo oggi di moda. Hollywood fa da baluardo del fronte anticristiano. Si considerino film quali Il codice Da Vinci e Angeli e Demoni. Il loro messaggio di fondo è che la Chiesa Cattolica è un’istituzione primitiva, sinistra e superstiziosa, il cui perno è una gigantesca cospirazione tramata nel cuore stesso del cristianesimo: aver nascosto che Gesù non era celibe ma sposato e padre di numerosi figli. Non c’è uno straccio di prova a supporto di questa calunnia oltraggiosa, ma Hollywood spaccia tutto ciò per “arte” coraggiosa.
    I cristiani devono difendere con vigore la propria fede. Se Comedy Central vuole fare un serial che descrive Cristo come un teppista di strada, è suo diritto farlo. Ma è pure diritto dei cristiani sentirsi offesi ed esprimere il proprio risentimento. La libertà di parola è un’arma a doppio taglio. I cristiani dovrebbero rendere noto che non solo boicotteranno tutti i programmi di Comedy Central, ma — cosa più importante — tutti i prodotti che essa pubblicizza. Le corporation che hanno contratti pubblicitari con Comedy Central, infatti, stanno sponsorizzando, direttamente o indirettamente il fanatismo anticristiano.
    Tutto ciò non sarà più tollerato: i cristiani non staranno più zitti.



[L'articolo è apparso su The Washington Times del 3 giugno 2010]

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