LA PSICOSI DI OBAMA
Il Presidente Obama è in lotta con la realtà: questo è il problema centrale della sua presidenza.
L’arresto del sospetto terrorista di Times Square Faisal Shahzad viene celebrato dai media dell’establishment progressista come un trionfo dell’amministrazione Obama: è stata infatti impedita un’atrocità terroristica; Shahzad è stato catturato prima che il suo aereo potesse decollare per Dubai.
Ma le colonne dei media non tengono conto di un fatto sostanziale: siamo stati fortunati. La sola ragione per cui l’autobomba di Shahzad non è scoppiata nel cuore di Manhattan-centro durante un trafficato sabato sera è stata l’imperizia dell’attentatore: il detonatore non ha funzionato come doveva. Altrimenti, vi erano tutti i requisiti — il Pathfinder parcheggiato in una posizione strategica, le bombole di gas, le latte di propano e fertilizzante — per la riuscita di un mortale attentato jihadista inteso a provocare quante più vittime possibile.
Ciò è inaccettabile: l’attentato esplosivo rivela ancora una volta l’incapacità di Obama di proteggere l’America dal terrorismo islamistico. Durante il suo mandato sono aumentati gli assalti terroristici e i mancati attentati sul suolo americano. Gli estremisti musulmani hanno preso di mira sinagoghe a New York ed edifici federali a Dallas; nel settembre scorso è stato sventato un piano per far esplodere una bomba nella sotterranea di New York; in novembre il massacro di Fort Hood ha provocato l’uccisione di tredici militari in servizio. La vigilia di Natale quello che è stato chiamato “il terrorista delle mutande” è arrivato a un pelo dal far saltare un volo della United Airlines in avvicinamento a Detroit. Ciascuno di questi atti, che sia abortito o meno, rappresenta un palese ripudio della politica di appeasement di Obama. Invece di inaugurare una nuova era di pace e di coesistenza, la distensione multiculturale sta incoraggiando le forze del jihad globale: i vari Shahzad in giro per il mondo avvertono giustamente la debolezza americana.
Al cuore della dottrina Obama sta l’illusione che non esista una guerra contro il terrore. Secondo Obama e l’élite liberal, il fascismo islamico è un parto della fervida immaginazione di George W. Bush, un teorema concepito dai neoconservatori militaristi per giustificare l’invasione dell’Iraq e l’imposizione dell’impero americano al Medio Oriente.
Ecco perché Obama ha cercato di sopprimere la maggior parte dell’eredità di Bush: le truppe statunitensi saranno richiamate dall’Afghanistan la prossima estate e il Presidente afghano Hamid Karzai abbandonato; Israele è minacciato; nessuno sostiene più la democrazia e i diritti umani nel mondo arabo; Washington è in cerca di un riavvicinamento con Iran e Siria; Guantanamo sarà chiusa; i terroristi verranno giudicati da tribunali civili. Mentre Obama chiede perdono per le "ingiustizie" americane commesse in Medio Oriente, termini come "musulmano”,"islam" o "estremismo islamico" vengono censurati nei documenti della sicurezza nazionale.
In breve, il presidente sta trasmettendo al Paese l’idea che l’America non vede più nell’islam radicale un nemico. Obama vuole disperatamente andar d’accordo con tutti, ma gl’islamisti, al contrario, non lo vogliono e rimangono sordi ai suoi proclami di speranza e di cambiamento: di fatto il loro disprezzo per lui e per l’America è in fase crescente. Come tutti i sinistrorsi postmoderni, Obama rifiuta di accettare la verità fondamentale della natura umana: la perenne esistenza del male. Non tutti vogliono andare d’accordo con gli altri: alcuni popoli, culture e ideologie sono irrimediabilmente malvagi e decisi a espandersi in maniera imperialistica e genocida. La loro voglia di potere e di dominazione non può essere frenata. La storia è piena di tali popoli: gli Unni, gli Aztechi, i Mongoli, i Turchi ottomani, la Germania nazionalsocialista, il Giappone imperialista, la Russia sovietica, la Cina comunista. In ultima analisi, l’unica soluzione con loro è reprimerli: l’appacificamento li esorta solo ad aggredire.
Il bombarolo di Times Square rivela il narcisismo campanilistico che affligge il radicalismo contemporaneo. Shahzad sembrava il classico convertito al sogno utopistico dell’editorialista del New York Times Thomas Friedman, cioè un mondo fondato sul consumismo e sulla globalizzazione. Shahzad è infatti un immigrato pakistano diventato cittadino americano. Il Paese che tradito e rifiutato gli ha fornito il visto d’immigrazione, una istruzione universitaria, un lavoro presso una prestigiosa ditta di marketing, una casa nella cintura suburbana del Connecticut: in altre parole, gli ha offerto il sogno americano.
Invece di essergli grato, è divenuto affiliato della jihad globale nel natio Pakistan; ha preferito i campi di addestramento dei talebani a Peshawar a McDonald’s e a Blockbuster: la spada e la mezzaluna erano troppo affascinanti per lui.
Fin dal VII secolo, l’islam radicale è in stato di guerra con l’Occidente: ha sgombrato la Penisola Arabica dalla presenza di quasi tutti i cristiani e gli ebrei. Durante il Medioevo ha conquistato ampie fette dell’Europa, dalla Spagna e da parte della Francia alla Sicilia e ai Balcani. Gl’islamisti odierni cercano di restaurare il califfato globale del Medioevo. I loro scopi non sono razionali o limitati, bensì totalitari e universali.
Vi è qualcosa di stranamente perverso in una visione del mondo che vede la maggior minaccia venire dalle vecchie signore dei raduni del Tea Party che alzano cartelli anti-Obama piuttosto che dagli omicidi di massa jihadisti. Obama rifiuta di denunciare Shahzad — o altri — come terrorista islamico: il massimo che è riuscito a mettere insieme è che la cattura del pakistano-americano è "un altro segno dei tempi in cui viviamo che fa riflettere": dichiarazione, questa, non del tutto churchilliana.
Ma quando si mette a bastonare il movimento dei Tea Party, Obama è più che disposto a battere i pugni sul pulpito e a suonare gli squilli di battaglia. Li ha chiamati "tea baggers" [cioè qualunquisti di destra, che strillano talmente forte contro il governo da non vedere nemmeno i vantaggi che la sua politica crea loro; lo stesso termine è usato per una stravagante pratica erotica: di qui la sordidezza dell’appellativo che Kuhner sottolinea (ndr)], con un termine sordidamente diffamatorio che lascia intendere che si tratta di cripto-razzisti, che potrebbero ripetere atti di violenza come quelli di Timothy McVeigh, il terrorista di Oklahoma City del 1995. I suoi alleati democratici nei media li accusano a loro volta di essere dei “suprematisti bianchi" e degli "estremisti interni". Il sindaco di New York Michael R. Bloomberg, prima dell’arresto Shahzad, è arrivato a dire che forse il colpevole andava cercato fra gli avversari dell’Obamacare, il piano sanitario nazionale di Obama. E questo viene detto dal sindaco di una città che l’11 settembre 2001 ha perso tremila persone.
La voglia di equiparare gli attivisti del Tea Party — pacifici e rispettosi della legge, che non hanno mai commesso alcun crimine, né attentati a base di bombe o decapitazioni — a dei fanatici omicidi non è solo delirante: riflette anche una psicosi ideologica, un istinto di morte che rifiuta di affrontare la minaccia collettiva del fascismo islamico.
La prossima volta potremmo non essere così fortunati. E la negazione dogmatica che Obama fa della guerra contro il terrore significa solo che altro sangue americano sarà versato nelle nostre strade.
[L'articolo è apparso su The Washington Times del 7-5-2010]
lunedì 10 maggio 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento