"RIGHT IS RIGHT, LEFT IS WRONG"

sabato 27 febbraio 2010

UNA COTTA CONSERVATRICE

PER L'ISOLAZIONISMO?


E' il senatore Ron Paul il futuro del movimento conservatore? Sembrerebbe, purtroppo, di sì, se il meeting annuale del Cpac, la Conservative Political Action Conference, svoltosi qualche giorno fa, si rivelerà un barometro attendibile.
    Nel sondaggio del Cpac, il campione libertario, nonché candidato alle primarie presidenziali del 2008, ha vinto nettamente con il 31% dei 2400 voti. Mitt Romney, già governatore del Massachusetts, è arrivato solamente al 22%. Sarah Palin si è piazzata a un terzo posto a molta distanza dai primi due
    Paul, repubblicano del Texas, è un convinto "fiscal conservative". È un jeffersoniano anti-statalista che si batte da sempre per uno Stato limitato, per l’abbassamento delle tasse e per i diritti dei singoli Stati. Vorrebbe tagliare drasticamente la spesa pubblica e abbattere l’ipertrofico leviatano federale.
    In particolare, Paul si è rivelato il maggior critico parlamentare della Federal Reserve (Fed). È stato lui ad aver chiesto al Government Accountability Office, l’organismo federale di controllo sui conti pubblici statunitensi, di condurre su di essa un'indagine amministrativa a tutto campo. E ha ragione: Ben S. Bernanke, presidente della Federal Reserve, gestisce una banca centrale che non ha né obblighi di rendicontazione né di trasparenza. In ultima analisi, la Fed non deve rispondere che a se stessa.
    Tutto questo deve finire. Contrariamente a quanto i suoi difensori sostengono, la Fed è un enorme mostro le cui politiche hanno annientato l’economia reale — la cosiddetta “Main Street” [la strada dei piccoli commercianti] — per soccorrere Wall Street [la strada dei finanzieri]. Ha alle spalle un lungo curriculum di fallimenti che hanno ripetutamente danneggiato il nostro tradizionale benessere. È il perno istituzionale su cui si regge il capitalismo faccendiere che sta al cuore dello Stato delle grandi corporation in America.
    Per esempio, a dire del premio Nobel per l’economia Milton Friedman, furono le politiche sconsiderate della Federal Reserve a causare la Grande Depressione del 1929. Nella seconda metà degli anni 1920, la Fed aumentò notevolmente la quantità di denaro immessa in circolazione. L’afflusso massiccio di denaro “facile” fece schizzare alle stelle la Borsa al punto che le azioni potevano essere acquistate con un margine del 10%. Tutto questo creò un enorme bolla. Come tutte le bolle, anche questa, a un certo punto, si sgonfiò e gli investitori corsero a ritirare il proprio denaro dalle banche per ricostituire i minimi d’investimento. La corsa alle banche così scatenatasi portò molte di esse al collasso per mancanza di liquidità. Prima che passasse la bufera, il sistema bancario americano e i mercati finanziari erano implosi. La contrazione economica portò con sé la disoccupazione di massa e la povertà degli anni 1930.
    La bolla del “.com” [la crisi dei titoli informatici] degli anni 1990, il boom dei mutui-casa degli anni 2000, le spericolate politiche di prestito a Wall Street, sono state tutte frutto della politica di taglio del costo del denaro attuata dalla Fed. Queste bolle sono direttamente responsabili della nostra crisi economica. La prerogativa della Fed di stampare denaro e di far circolare migliaia di miliardi di dollari in surplus ci ha portato sull’orlo della rovina.
    Ron Paul è, su temi fiscali, un "falco" e in economia un realista consapevole di quanto la Fed e il progressismo del Big government possano nuocere alla Repubblica definita dalla Costituzione. Nessuna meraviglia, allora, che i conservatori più giovani e i libertari lo ammirino.
    In politica estera, tuttavia, egli si sbaglia, e i suoi errori potrebbero causare molti danni. La sua ostilità allo “Stato assistenziale-bellico” è fuorviante: puntare su una forte difesa nazionale è di cruciale importanza per la sopravvivenza dell’America, specialmente in un’epoca di terrorismo islamico globale.
    Quando Paul espone le sue opinioni sulla politica estera sembra di risentire i vecchi isolazionisti degli anni 1930 e 1940. Conservatori come Robert Taft e Charles Lindbergh si opposero al coinvolgimento degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale. Erano pronti ad abbandonare l’Europa nelle mani della Germania di Hitler. Ritenevano che l’America era al sicuro all’interno dei suo perimetro difensivo continentale, ben protetta dai due oceani. L'attacco di Pearl Harbor dimostrò, tuttavia, quanto inconsistente fosse il mito della “fortezza America”, proprio come, poi, hanno fatto gli attentati dell’11 Settembre.
    In un'epoca di armi nucleari e di fanatismo, nessuna nazione è al sicuro. Ron Paul, attingendo al frasario della New Left degli anni 1960, crede ancora che gli Stati Uniti sono diventati un’“impero” e sostiene che gli attacchi dell’11 Settembre si sono scatenati “su di noi” a causa della nostra politica imperialistica in Medio Oriente.
    Il che è falso: i jihadisti hanno dichiarato guerra all’Occidente perché vogliono restaurare il califfato islamico medioevale. Il sostegno americano dato a Israele o gli aiuti economici all’Egitto sono solamente il pretesto con cui coprono i loro intenti totalitari e rivoluzionari. Se fosse vero che è la politica americana ad alimentare il jihadismo nel mondo, perché anche Paesi come la Francia, la Germania, l’Italia, la Russia, la Spagna, il Canada, la Cina, l’Indonesia, le Filippine, la Giordania, l’Arabia Saudita e il Libano — Paesi che sono anti-israeliani, filo-palestinesi e filo-arabi — sono presi di mira dalla violenza terroristica?
    Non è stato un immaginario imperialismo americano a causare l’ascesa dell’islam radicale, ma il socializzarsi del desiderio di imporre la legge della sharia nel mondo. Sono Osama bin Laden e i suoi alleati i veri colonialisti, non l’America.
    Come il nazionalsocialismo e il comunismo sovietico, l’islamofascismo costituisce una minaccia mortale per l’Occidente. Noi oggi siamo impegnati in una lotta ideologica e militare, in un duello all’ultimo sangue. Il genere di isolazionismo di Ron Paul non fa bene né alla destra né all’America. Egli è nel giusto quando si batte in patria per lo Small government e per la solidità della moneta. Ma il suo appello non-interventista è un puro volo di fantasia. Paul è un uomo del passato e si illude di viverci tuttora.

[Articolo apparso su The Washington Times il 26 febbraio 2010]

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